Artemisia, Caterina, Ipazia e le altre

L’approdo di “Artemisia, Caterina, Ipazia e le altre” nella sala del Minor Consiglio del Palazzo Ducale di Genova, è molto più che un supporto teatrale della mostra sulla pittrice “caravaggesca” che ha superato in fama il padre Orazio Gentileschi.

Apre il sipario sul mistero dei suoi chiaroscuri umani e artistici lungo un percorso che incontra la grande esposizione conservando la propria autonomia.

Lo spettacolo denso di sfumature che vibrano nella voce e nella fisicità comunicativa di Laura Curino, parte dal lontano: da un laboratorio di scrittura creativa che, stagioni fa, ha riunito, a Sestri Levente e in molti Comuni dell’entroterra studenti, insegnanti e studiosi sotto un’etichetta che si è rivelata un programma: “I raggi X”.

Con la guida di Patrizia Monaco, che poi ha collaborato con Laura Curino alla stesura definitiva del copione, il gruppo ha esplorato i momenti di gloria e coraggio ma anche le contraddizioni di un personaggio da sempre rischioso per chi decide di affrontarlo.

Balzata infatti agli onori (e qualche volta, nel Cinquecento, ai disonori) delle cronache per una denuncia per stupro, nei confronti di Agostino Tassi, suo maestro, Artemisia Gentileschi richiede un difficile equilibrio. Chi ne ripercorre la vita non deve fare soltanto fare i conti con le motivazioni che possono avere spinto lei e il padre a portare avanti un’accusa tanto impopolare. Ci chiede da sempre quanto e in che misura il trauma abbia pesato sul suo talento e quanto sia riduttivo ricondurre tutto a quell’esperienza.

Con la “sua” Artemisia Laura Curino ha dato risposta (molto prima che nascessero) anche a certe polemiche che su questo tema si sono aperte nel corso della mostra. L’attacco iniziale, che commenta le scene forti dei suoi quadri, primo fra tutti Oloferne decapitato da Giuditta, si intreccia con la testimonianza resa in tribunale sulla violenza subita in fiotto di dolore e di sangue che toglie il respiro..

Ma mano che la matassa si dipana con la regia di Consuelo Barilari, le spade e pugnali di una guerra che non nasconde il desiderio di vendetta cedono il passo al fioretto dell’ironia. La nostra prima grande interprete del teatro di narrazione ci restituisce un passato che vibra con l’intensità dei suoi spettacoli radicati nel mondo contemporaneo dove i anche i momenti tragici hanno un controcanto.

Artemisia non è sola ma rivive nelle altre donne che ha dipinto, per commissione e, possiamo intuire per scelta, con forte sintonia: da Caterina de Medici passiamo a Caterina di Alessandria, martirizzata dall’imperatore Massimino, a Giovanna D’Arco, a Ipazia. L’astronoma alessandrina perseguitata dal vescovo Cirillo, in assenza di altre concatenazioni, è evocata con l’invenzione drammaturgica più spericolata. Il pubblico è invitato a individuarla, unica donna in un consesso di sapienti nella “Scuola di Atene” di Raffaello. Qui l’interprete si diverte a sorprendere, improvvisandosi presentatrice di una sfilata di moda e passando rassegna tutti i personaggi che circondano Ipazia come modelli pronti a sfilare in passerella.

Mentre ci si chiede come riprenderà il bandolo della matassa, il miracolo avviene. E nel pubblico aumenta la consapevolezza di essere di fronte a un indimenticabile dialogo tra le arti: quella di vivere, di dipingere, di amalgamare ogni emozione con lo sguardo del teatro.

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