I treni della felicità, una storia dimenticata

Settantamila bambini lasciano il Sud e vanno verso il Nord  di un’Italia ancora devastata dalla Seconda Guerra Mondiale, un Paese distante anni luce dal boom . Le madri ormai sono lontane, nuove famiglie  li aspettano, tra la neve che i più piccoli non  hanno mai visto e che vorrebbero odorare schiacciando il naso contro i finestrini.  Viaggiano su uno dei “Treni della felicità” che Laura Sicignano e Alessandra Vannucci raccontano in uno spettacolo,  prodotto dalla Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse,  che fissa una nuova tappa  nel loro già lungo percorso teatrale sulle vie di diverse emigrazioni

Dopo un’anteprima ill giugno scorso al Festival di Asti,  “I treni della felicità” debutta a Genova, dal 23 al 25 febbraio e, a marzo,  riparte in tournée: a Parma il 7, a San Miniato il 10, a Savona l’11 a Genova-Voltri , il 12 a Pordenone, il 16 a Pescara,  il 19 a Napoli , il 25 a Sambuco di Sicilia.

Per questo lavoro, tratto da Storie raccolte da Giovanni Rinaldi nel libro “C’ero anch’io su quel treno”, accompagnato da in controi con Alessandro Piva (“Pasta nera”)  e con la figlia di Miriam Mafai (“Pane nero”),  si potrebbe immaginare un’impostazione neorealistica, in omaggio alla corrente artistica dominante di quegli anni.

Non è così <Credeteci  senza pretendere che tutto sia verità>,  il biglietto di presentazione delle interpeti al pubblico, suona ” provocatorio soprattutto in direzione estetica.

Tutte le di quell’esodo dimenticato dalla Storia ,  quelle dei bambini , delle madri che li affidano con la speranza di un futuro migliore, delle famiglie, spesso di condizioni modeste, che se fanno carico,  sono sono affidati alla duttilità di tre interpreti.

Fiammetta Bellone, Federica Carruba, Egle Doria  li rievocano e li filtrano nel flusso di un monologo interiore che non conosce barriere di genere, di età, di spazio, di tempo.

Possiamo definirlo teatro di parola, certo, ma innestato su una recitazione di grande densità fisica che le plasma di materia,   nella convinzione che il corpo delle donne, con la sua completezza e le sue lacerazione,  sia uno strumento di comunicazione straordinario.

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