Napoli, “Berretto a sonagli” al teatro Diana

È uno schizzo di fango, una piccola isola terremotata e circondata dal nero il salotto di Casa Fiorita, un universo solitario scrutato da ombre curiose e silenti pronte a gridare allo scandalo di una donna che vuole fare da sola. Beatrice cioè, la protagonista de “Il berretto a sonagli” in scena al Teatro Diana da qualche giorno ed in replica ancora fino a domenica.

Tappa dell’appassionato percorso pirandelliano di Gabriele Lavia, che sempre riprende e rimodella quella storia minima e feroce di sopraffazione e di gente ferita e malata. Uno sull’altro, uno contro l’altro, a far vincere prepotenze non dette. Luigi Pirandello scrisse questa sua commedia nel 1916, nella sua lingua madre, il siciliano, dolce e dura, e la riscrisse poi in italiano per darla alle scene con discusso successo. Gabriele Lavia le mantiene entrambe, suoni seducenti nella sintassi perfetta dell’autore, e le mescola ad arte per intuizioni improvvise d’attore sapiente. È questa l’ultima, in ordine di tempo, messa in scena che negli anni ha provato a dare senso e forza a quella storia minima da tempesta in un bicchier d’acqua. Ogni regista, attore, spettatore negli anni vi ha dato lettura e senso, tanto duttile è quell’affresco abbastanza inorridito per comportamenti sgradevoli, menzogne sottese, tranelli e rivalse, vendette mascherate da amore e dovere civile.

Tutto crollava in quel mondo ormai lontano, e Lavia, complice il lavoro di Alessandra Camera, ce ne rende l’immagine sghemba in precipizio d’oggetti e di comportamenti. Storia ben nota a chi il teatro lo frequenta, tanto è ricorrente e presente “Il berretto a sonagli” in differenti tempi e proposte, con il sospettoso costruire tranelli di Beatrice intenta a smascherare i tradimenti del marito ed a cogliere sul fatto lui e la giovane donna che l’ossequioso Ciampa, scrivano al suo servizio, tiene segregata in casa. Storie miserabili insomma. Così sono infedeli e bugiarde le trame volgari della saracena di Matilde Piana, non ha senso il lamento amoroso della serva fedele, la Fana di maribella Piana, non ha vita il ballare perenne e vanesio del Fifì scimunito di Francesco Bonomo, non danno sollievo alle ansie la gelida premura materna di Giovanna Guida o le rassicurazioni arruffate e stupite del delegato Spanò di Mario Pietramala. Tutte e tutti lasceranno sola nella sua furia insicura la Beatrice di Federica De Martino a costruire tranelli malandati. Sola come in una bolla di vetro in cui respirare a fatica, boccheggiando come un pesce fuor d’acqua, in una terra nemica che non la comprende, pronta a sbarazzarsi di lei come impiccio a non noti incontri mondani di gente perbene.

Finisce in trappola perché il nemico è invece il più forte, abile e rapido ne coglierne la debolezza portandola nel labirinto delle parole da non pronunciare: pazza. Guida di tutto questo trambusto di comportamenti, domatore del circo vanesio, belva feroce d’acuto intelletto, lama affilata a colpire per vincere, è il Ciampa di Gabriele Lavia, il negletto, il servo fedele che, ferito a sua volta, si alza ed azzanna, e vince per sempre nella rivoluzione di quel piccolo mondo che una folla di manichini (la gente perbene) osserva d’intorno in muto stupore inorridito. È la vittoria dei Ciampa di sempre ed il capolavoro di Lavia, in una sua lettura de “Il berretto a sonagli” trascinato ben oltre il suo tempo a suggerire e ad imporre significati possibili. Lui non sbaglia il suono della parola ed il gesto della mano trattenuta, dello sguardo ferito che s’infiamma, del tremito contenuto per la vendetta da compiere; lucido giocatore pronto a cogliere l’errore e la debolezza per farne la sua forza vendicativa.

Questo Ciampa di Gabriele Lavia, con le “corde” del suo ragionare è una lurida e minacciosa divinità della giustizia che ammutolisce. Certo non vittima ma minaccioso vincitore. Il suo spettacolo di ampio respiro visionario, rimane un po’ stretto nel palcoscenico del Teatro Diana, che produce lo spettacolo insieme con Effimera. Ma lo spettatore dovrà accompagnarne l’azione spingendo lo sguardo oltre il buio, nel vuoto morale, sociale, geografico, umano che lo circonda. E sarà gioco grande del teatro, con musiche di Antonio Di Pofi, luci sapienti di Giuseppe Filipponio, ed eleganti costumi ideati dagli allievi del Terzo anno dell’Accademia Costume & Moda. Alla prima napoletana un successo di pubblico che si ripete di sera in sera e continua. (giulio baffi)

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