M il figlio del secolo

È pervaso di un’ironia che esplode in sarcasmo, giocata tra accenti grotteschi e risate beffarde M Il figlio del secolo, lo spettacolo che Massimo Popolizio ha realizzato con la collaborazione alla drammaturgia di Lorenzo Pavolini partendo dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati, Premio Strega nel 2019.

In 31 quadri, ciascuno definito da un diverso titolo, scorre sul palco l’irresistibile ascesa di Benito Mussolini al potere, a partire dal 1919 dopo la sconfitta alle elezioni fino ad arrivare al discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925 e al dilagare dello squadrismo dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti del 10 giugno 1924, a due anni dalla marcia su Roma e dall’incarico di governo conferitogli dal re Vittorio Emanuele III il 30 ottobre 1922, che aprì le porte del Parlamento al Partito Nazionale Fascista.

È una denuncia storica, quella che prende forma sotto gli occhi degli spettatori, ma anche uno sguardo impietoso sul nostro presente che di quel passato si nutre e perciò lo sberleffo feroce si intride di amarezza e di inquietudine.

C’è speranza nel futuro? O quel meccanismo perverso e al tempo stesso banale, fatto di errori, omissioni, viltà e superficialità, può ripresentarsi e affermarsi? Questo l’interrogativo che guarda al presente con apprensione e urgenza critica.

Popolizio, in veste di regista e attore, ha riservato per sé la parte di Benito “il teatrante”, incarnandone il volto di istrione e guitto, capace di mille metamorfosi, plasmate sugli umori popolari. A Tommaso Ragno affida il ruolo di “Benito Mussolini” con battute pronunciate in terza persona, senza proporne il ritratto mimetico dell’iconografia tradizionale, ma lasciando all’attore le sue fattezze a evidenziare il rischio sempre presente di una “reincarnazione” del Duce nell’oggi. Entrambi calzano a tratti sul volto una grottesca maschera di juta, che richiama quelle indossate dal boia durante le esecuzioni capitali.

Al loro fianco si muove una formazione caleidoscopica di figure diverse, all’interno della quale i 16 attori (di ogni età, dai più giovani ai più anziani, tutti meritevoli di lode) interpretano più personaggi, con in testa alla schiera femminile la Margherita Sarfatti di Sandra Toffolatti: (in ordine di locandina) Paolo Musio, Raffaele Esposito, Michele Nani, Tommaso Cardarelli, Alberto Onofrietti, Riccardo Bocci, Diana Manea, Michele Dell’Utri, Flavio Francucci, Francesco Giordano; Gabriele Brunelli, Giulia Heathfield Di Renzi, Francesca Osso, Antonio Perretta, Beatrice Verzotti.

I dialoghi ricreati usando le parole del libro formano una drammaturgia sostenuta e completata dalla proiezione di immagini d’archivio (curata da Riccardo Frati), dove però non compare mai Mussolini in persona, che si intrecciano con un variegato repertorio di musiche: brani d’epoca, valzer, tanghi, musica tecno, oltre che rumori e suoni (mixati da Alessandro Saviozzi). Cori e canzoni si accompagnano a passi danzati (movimenti diretti da Antonio Bertusi) come in un musical brechtiano, dove lo straniamento aggiunge incisività ai contenuti. La scenografia mobile di Marco Rossi, di icastica evocatività, è pensata in funzione dei molti cambi di scena ed è illuminata dal disegno luci di Luigi Biondi, mentre i costumi d’epoca di Gianluca Sbicca contestualizzano la narrazione evitando un’attualizzazione che risulterebbe fittizia ed enfatica.

Tra Cabaret e Circo, la dimensione di “spettacolo nello spettacolo” dilata significati e inquietudini e col suo ritmo serrato trascina gli spettatori in un vortice di emozioni e pensieri.

Caterina Barone

Una produzione Piccolo Teatro di Milano, Teatro di Roma e Luce Cinecittà.

Visto al Piccolo Teatro Strehler, Milano, domenica 13 febbraio 2022

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