Quel Papageno così etereo, beffardo e biomeccanico

Magico allestimento del «Flauto magico» del Marionettentheater di Salisburgo al Festival 2010, unicospettacolo con marionette

 

SALISBURGO. Neanche a farlo apposta,non ha concorrenza, quest’anno, il”Flauto magico” del Marionettentheatera Salisburgo giacché è “Don Giovanni” l’unico Mozart proposto dal Festival 2010, terzo dell’era Jürgen Flimm. Ma farebbe comunque fatica a trovar concorrenti tra gli umani quel Papageno etereo, beffardo, biomeccanico, irridente e morbidamente legnoso che dipinge e ridipinge di continuo il gia’ coloratissimo allestimento nel teatro fondato nel 1913 dal professor Anton Aicher, scultore.

Aicher passò il timone al figlio Hermann (un modo singolare: gli affidò il teatro come regalo di nozze) che, a sua volta, lascio’ la direzione alla figlia Gretl, tuttora guida della “scatola magica”. “Si deve tutto a mio padre – dice Gretl – Dalla sua modesta palestra si mise a precettare senza sosta artisti di grido e ci trasformammo in autentici pionieri”.

“Zauberflöte” (che abbiamo visto nella versione integrale delle 19.30, esistono repliche di poco piu’ di un’ora destinate ai piccolissimi, con inizio alle 14) va in scena due o tre volte alla settimana e per quasi tutto l’anno, punteggiato da gloriose tournee in tutto il mondo, a gennaio/febbraio e per tutto dicembre. Ed è, il “Flauto”, perla tra perle di prima grandezza, una dozzina, almeno, tra il Mozart di “Ratto dal serraglio”, “Nozze di Figaro” e “Don Giovanni” e ancora Rossini (“Barbiere”), “Hansel e Gretel”, “I racconti di Hoffmann”, “Il pipistrello” e Shakespeare (“Sogno di una notte di mezzaestate”) e, culto assoluto hic et nunc, “The sound of music” ossia il “Tutti insieme appassionatamente” di Rodgers&Hammerstein, nato, cresciuto e girato a Salisburgo e dintorni.

Di quest’ultimo musical, il Marionettentheater si fregia d’essere il primo produttore ed ha pronta la versione francese, in dicembre a Parigi per restare in scena fino all’anno nuovo.

Sipario. Apertura magicamentelenta, come di una scatola da regalo, quasi a voler dare ai pupi (il teatro della Schwarzstraße, a un passo dalla Wonhaus, la casa natale di Mozart, ne conta 500 ed un solo spettacolo puo’ chiamarne in scena fino a 90) il “chi e’ di scena” che, in realta’, scatta per i “magnifici dodici”, specialmente.

I “cugini” siciliani – gli eroici, talentosissimi fratelli Napoli in testa – li chiamerebbero “opranti” e “manianti” e qui hanno un training innanzi tutto musicale oltre che di recitazione ed antropologia teatrale.

Sipario, dunque, molto lentamente.

Frattanto, ai lati della sala (oltre 300 posti, stipatissimi, sera per sera) due schermi fanno scorrere in sei lingue, incluso il giapponese, i titoli di testa, poi la trama a pezzi e bocconi e infine i ringraziamenti “per voce muta” delle marionette.

Forse – oltre al marionettista – solo il coreografo e’ in grado di esplorare davvero il corpo umano (e “teatrale”) in tutta la sua possibilita’ cinetica. Le Tre Dame del “Flauto” sono piu’ leggere dell’ “Ombre” di Marie Taglioni e piu’ “umane” della Pavlova: a proposito, giusto una copia-marionetta della mitica ballerina russa fu ritirata dal Marionettentheater nel 1936, sarebbe servita qualche anno dopo per lo “Schiaccianoci”.

La corte dorata di Sarastro è spettacolo nello spettacolo: vesti e copricapi da far invidia a Pier Luigi Pizzi, l’invocazione ad Iside con il braccio sinistro in alto, ieratico che sembra quasi di carne e quei servi cialtroni “elasticamente” ammaliati dal carillon.

Papageno, specialmente. I suoi passettini, la gestica nervosa e tremolante sono un capolavoro impressionante di mimesi che non tradisce visto che la marionetta non e’ attore di carne e dunque non cede all’emozione.

E che numero, ai ringraziamenti, quando si volge indietro, applaudendo lui i marionettisti. E solo allora ti accorgi di quanto piccole siano

le marionette e di quanto tu ne avessi gia’ assunto dimensioni, salti, pensieri. Sogni.

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