TEATRO FUORI DAL TEATRO – SE MEDEA FA LA VITA

E ANTIGONE PIANGE IL FRATELLO MORTO DI COVID SENZA ADDIO

(Inchiesta pubblicata su Millennium Magazine de Il Fatto Quotidiano, giugno 2023)

MEDEA NASCE nelle vie della prostituzione di ogni città. Se ne sta in piedi con la minigonna sulle scarpe a trampolo e aspetta i clienti. Nelle periferie buie dei grandi centri urbani e sulle tangenziali di provincia le luci dei fari sfrecciano. Ci sono occhi che la vedono senza essere visti. Medea è una puttana. Arrivata in Italia giovanissima, fa notti tutte uguali senza sogni. Se le chiedi chi è non risponde. Vuole subito sapere cosa e quanto. Ti interessa conoscere la sua storia? Allora sali in furgone e ascoltala mentre parla proprio a te e a qualche altro spettatore viaggiante. La rotta è via Vitruvio a Milano, la circonvallazione di Bari, la Colombo di Roma.
Quando il teatro scende dal palcoscenico, anzi, quando non ci sale neanche, capita che diventi un’esperienza spiazzante come quella di Medea per strada. Uno spettacolo che non ti aspetti e che ti riguarda nell’intimo. Anche se tu, a puttane, non ci sei mai andato.
Vogliamo raccontarvi di questa Medea prostituta, non leggendaria come la protagonista di Via del Campo di De André, ma donna qualunque. E dello spettacolo ispirato alla Tempesta di Shakespeare nel bosco distrutto dalla tempesta Vaia in Trentino. Del “teatro povero” di Monticchiello in provincia di Siena, del teatro nelle mense popolari e nei cimiteri per i morti di Covid, del teatro in barca e di quello che approda a mare, sugli scogli e nelle grotte. Vogliamo raccontarvi del teatro fuori dal teatro nella prossima estate, non una novità, ma qualcosa che rinnova il suo senso di necessità oggi: agire nel contesto sociale in modalità diretta per stimolare una riflessione collettiva.
Non ce ne vogliano gli appassionati di Judith Malina e Julian Beck del Living Theatre di New York, i precursori. I primi che negli anni ’60 e ’70 si legavano ai cancelli e mimavano scene di torture carcerarie, bruciavano banconote e facevano sesso di gruppo in piazza finendo in galera. The show must go on.

IN SCENA SUL FURGONE
Medea per strada fa parte del progetto di spettacoli “La città dei miti” di Teatro dei Borgia, in residenza nomade da fine giugno ad agosto per una trentina di date in diverse città, da Genova a Brescia, da Bologna a Gorizia (teatrodeiborgia.it). Realtà pugliese fondata da Gianpiero Alighiero Borgia ed Elena Cotugno, con Fabrizio Sinisi alla scrittura dei testi, costruisce analogie fra personaggi della mitologia classica e suoi corrispettivi nella contemporaneità urbana, metropolitana, mediatica. Racconta, oltre la superficie, la storia di persone partite dai loro Paesi con un sogno che all’arrivo in Italia si è rivelato un incubo. Fra loro c’è Medea prostituta. «Nel grande mare del tema delle migrazioni abbiamo messo a fuoco» spiega il regista « il fenomeno che riguarda quelle donne sconosciute eppure in qualche modo familiari, quasi elementi di un arredo urbano cui siamo assuefatti, partite alla ricerca di una vita migliore per poi diventare schiave del racket della prostituzione».
Funziona così. Gli spettatori salgono a bordo di un Iveco del ’94. Poco dopo la partenza arriva un’appariscente passeggera ritardataria che ne arresta la corsa: prima inveisce contro l’autista, poi sale e attacca bottone in modo un po’ molesto con i passeggeri. Mentre il furgoncino si avvia per le strade della città fino a raggiungere le vie della prostituzione lei, trucco marcato e accento straniero, racconta a tutti la sua storia: è una migrante scappata dal suo Paese, fa quel mestiere. Ha avuto dei figli dall’uomo che l’ha condotta qui, leggi “protettore”.
Rappresentato non solo in furgone ma nei parcheggi, sugli autobus di linea e nei centri antiviolenza, lo spettacolo nasce da un lavoro di contatto con le associazioni che sostengono le donne vittime di tratta. È il risultato di un teatro che ne raccoglie le testimonianze, ne studia e analizza il reclutamento, il debito, il ricatto, la routine fatta di abbordaggio, contrattazione, consumo della prestazione. Sarà l’empatia che si crea fra i passeggeri e l’attrice a determinare la replica di quel racconto interiore, intimo e mitico allo stesso tempo.
Oltre a Medea, “tragedia dello straniero” itinerante, ci sono nel progetto altre rielaborazioni dal mito antico: Eracle l’inv is ibile, che si svolge nelle mense dei poveri, è la storia di un genitore separato; Filottete dimenticato, proposto nei luoghi di cura e centri per anziani, racconta di un malato di demenza abbandonato. Infine il recente Antigone, tragedia con canzoni: rituale della morte che si svolge nei cimiteri e in luoghi trasformati per celebrare i morti di Covid che non hanno potuto avere un addio dignitoso.
«L’esperienza teatrale si compie nel reale, è un sogno poetico che nasce dalla ricerca sull’attivazione del mito. Un intervento artistico in contatto diretto con le associazioni che operano nei vari ambiti della nostra indagine», specifica il regista. Così Eracle si mette in scena in una tenda, un presidio di primo soccorso dove vengono distribuite coperte e beni di prima necessità: è il percorso parossistico dell’essere umano economico sottoposto a un’infinità di prove, ridotto alla sua funzione produttiva. Un “uomo bilancio” che diventa un senzatetto quando la sua vita di padre di famiglia inciampa in un evento imprevisto e si sgretola. In particolare, nella folla degli invisibili, la compagnia ha scelto di approfondire il tema dei genitori separati e le loro vicissitudini economiche, sociali, psicologiche.
Passiamo a Filottete. Nella tragedia di Sofocle si imbarca con i suoi compagni per la guerra di Troia, ma soffre terribilmente a causa di una ferita infetta alla gamba. I suoi lamenti e il fetore sono insopportabili per Ulisse e il resto della ciurma che decidono cosi di abbandonarlo sull’isola di Lemno. L’orizzonte di ricerca dello spettacolo questa volta è l’abbandono familiare che segue il manifestarsi di una malattia incurabile. Per Filottete dimenticato non ci sono poltrone comode. In una sala buia il pubblico guarda da lontano un mito che non è più in grado di parlarci e di farsi vedere. Qui l’allucinazione interpella, imbarazza, si fa carne e chiede di essere vissuta non di essere vista. È un lavoro sullo scandalo del dolore e del corpo, sul tabù della malattia, grande rimosso dalla visuale trionfalistica del mondo occidentale. Ancora da Sofocle, Antigone, tragedia con canzoni mette in scena la cerimonia funebre per i morti durante la fase più critica della pandemia. Un uomo pubblico, serio e rigoroso, sta officiando quando una giovane donna gli oppone i suoi pensieri. Sullo sfondo la morte del fratello, avvenuta in ospedale durante il confinamento senza che nessuno potesse offrirgli l’ultimo saluto. Fra i due va in scena un vero e proprio agone sui temi del rapporto fra individuo e Stato, fra ragione personale e ragione comune, fra singolo e collettività, fra legge e spazio intimo del dolore. Il linguaggio è quello del rito, del sacro celebrato attraverso gesti, parole e canto.

BASSO IMPATTO (AMBIENTALE)
Altro evento di teatro fuori dal teatro lo spettacolo Dopo la tempesta: nel Bosco dei Mille Pini di Baselga di Pinè in Trentino il primo luglio. Questa volta al centro del processo creativo è la comunità del piccolo comune sconvolto dalla tempesta Vaia che nel 2018 ha abbattuto 14 milioni di alberi solo nel Triveneto. I registi Elisa D’Andrea e Carlo Sciaccaluga, con il loro collettivo di artisti (www.nogravity4monks.com), hanno avviato nei mesi scorsi un progetto di sviluppo di comunità con istituzioni, abitanti, scuole e forestale. Dal loro campo base è nato questo site specific ispirato al capolavoro del bardo inglese a partire dalla memoria del territorio.
Prodotto da ariaTeatro con provincia autonoma di Trento, Comune di Baselga di Piné e Teatro della Tosse, Dopo la tempesta raduna artisti provenienti da diverse parti del mondo. Fra loro il funambolo Laurence Trembaly-Vu, che suonerà, sospeso, un cavo amplificato lungo 80 metri accompagnato da musicisti dal vivo e dai versi di Shakespeare.
«La Tempesta di Shakespeare è forse il più grande capolavoro ecologista di tutti i tempi» spiegano gli autori. «È una fantasia teatrale che dentro i contorni della favola continua a echeggiare temi molto concreti e presenti, la contrapposizione fra natura e civiltà, innocenza e brutalità, saggezza e corruzione». A basso impatto ambientale, con piantumazione boschiva a compensazione, l’evento è abbinato allo studio sulle emissioni di anidride carbonica della start up Vaia. Quanto inquiniamo con il nostro spettacolo? È la domanda che gli artisti si pongono. Una messa a dimora di 300 nuovi alberi, simbolica, accompagnerà questo spettacolo legato all’emergenza ambiente e al cambiamento climatico, dove le luci di scena scolpiscono colonne illusorie di alberi che non ci sono più.
Dal bosco devastato al paesaggio perfetto. Il borgo medievale di Monticchiello in Val d’Orcia, nella campagna senese, visto dall’alto sembra una di quelle cartoline di una volta. È una piccola frazione di nemmeno 300 abitanti dove non è mai esistito un teatro e ancora oggi non esiste un ufficio postale. Allora che hanno fatto gli abitanti? Già alla fine degli anni ’60 decidono di aggregarsi e diventare registi e attori di uno spettacolo collettivo in piazza. Nasce così il Teatro Povero (teatropovero.itteatropovero.it), che ogni estate da fine luglio a metà agosto richiama turisti ed esperti da tutto il mondo. Sono i paesani ogni anno a scegliere un tema, a mettersi d’accordo sulla drammaturgia e a recitare se stessi.

NELLA GROTTA AZZURRA
Fra gli argomenti che ritornano, la tradizione contadina della gente del posto, mai abbandonata, la memoria della guerra e della lotta partigiana, ma anche questioni legate ad aspetti cruciali per la comunità: i cambiamenti imposti dalla tecnologia, i giovani andati altrove. I costumi? Sono i loro abiti da lavoro, solo un po’ più caratterizzanti. Tanto che se vai a cena alla taverna storica ti serve chi dieci minuti prima recitava in piazza. “Autodramma ideato, scritto e realizzato dalla gente di Monticchiello”, lo definì Giorgio Strehler. Non è tutto. La cooperativa di comunità che coordina nelle varie fasi i volontari del dramma, circa una sessantina, è la stessa che si occupa di servizi utili come la consegna di medicinali, l’ufficio turistico, l’edicola, la biblioteca, il museo, il centro internet e persino l’accoglienza dei migranti stranieri, che lavorano lì e vivono in una foresteria.
Dalle colline senesi il viaggio del teatro fuori dal teatro arriva al mare. È l’isola di Capri questa volta a diventare, dal 14 al 24 settembre, lo scenario a cielo aperto di concerti e spettacoli con i grandi artisti del Festival “Il canto delle sirene”. Sono gli angoli più belli e difficilmente accessibili ad aprirsi al pubblico, le terrazze di antiche dimore e persino la Grotta Azzurra. Le canzoni napoletane interpretate su una nicchia nella roccia e gli spettatori, 80 per volta, sui barchini dei battellieri. Acustica e luce naturali. Riflessi sull’acqua che evocano le imprese di antichi marinai.
Sulle rotte del Mediterraneo si sono spinti per oltre vent’anni gli attori-naviganti della Compagnia Càjka: Barbara Usai, Daniel Dwerrynouse, Giulia Spattini, Enrico Bonavera, Massimo Moi, Fabrizio Gallo. Hanno percorso più di 33 mila miglia portando i loro spettacoli nei porti di Sardegna, Corsica, Toscana, Lazio, Liguria, Calabria, Norvegia, Grecia. Un veliero con la stiva piena di scenografie, costumi, tecnica audio-luci, attrezzeria è stato la sede di “Teatridimare”, progetto permanente di navigazione teatrale a vela. Ogni volta che la compagnia scendeva a terra allestiva sul ponte il suo spazio scenico e dava il via a una parata musicale-teatrale sulle tracce degli antichi banditori. Poi andava in scena lo spettacolo. Con il pubblico sulla banchina. Un teatro galleggiante che aveva raggiunto anche il Mare del Nord entrando nel fiordo di Oslo per recitare Blu, vau deville in italiano, inglese e norvegese. Questo progetto non c’è più. Il fondatore e capitano, Federico Origo, attore e regista di grande esperienza e carriera, è mancato un anno fa. Bonavera, l’Arlecchino di Giorgio Strehler, già apprendista del gruppo fondato in Danimarca da Eugenio Barba, lo aveva seguito e aveva recitato con lui in quel viaggio al Nord e in altre avventure. «Una volta abbiamo incrociato nel Tirreno» racconta «una barca con spettatori che ci avevano visto recitare a miglia di distanza. Hanno ricominciato ad applaudire da lì. Surreale». Poi si emoziona: «Ricordo una notte di bonaccia luminosissima eppure senza luna. Guardando il mare sotto di noi c’erano meduse bianche, a centinaia, che facevano luce». Ecco, questa è la luce del teatro. Chissà in quanti prima di lui hanno attraversato quelle distese senza essere eroi.

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