“Experti”. In carcere a Padova i detenuti rivisitano KafKa

C’è il condannato all’ergastolo che in scena recita come un attore di Hollywood. E che attraverso quel palcoscenico, anche se dietro le sbarre, è riuscito a ritrovarsi. Rinascere. Una nuova esistenza, dimenticando il crimine. E sognando una carriera da attore.

Ma c’è anche chi ha mollato, non ce l’ha fatta ad arrivare su quel palcoscenico, troppa la sofferenza, forse anche il rimorso, e si è ucciso prima di vedere il debutto.

Storie di detenuti, protagonisti per un giorno al carcere Due Palazzi di Padova.

Uno spettacolo intenso e autentico. Frutto del lavoro svolto dai detenuti con Tam Teatromusica nei laboratori all’interno dell’istituto penitenziario. Una realtà e un progetto considerati un’eccellenza a livello nazionale, che ha già ottenuto riconoscimenti istituzionali. La compagnia padovana è tra i gruppi fondatori del Coordinamento nazionale Teatro Carcere, che associa più di 30 realtà italiane, e fa parte della rete europea “Edgenetwork” del Centro europeo Teatro carcere.

“Experti”, è l’ultimo lavoro presentato nell’auditorium della casa di reclusione padovana, un progetto realizzato con il contributo della Regione Veneto e Comune di Padova in collaborazione con Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. Alla base dello spettacolo c’è un racconto a più voci ispirato a “Relazione per un’accademia” di Franz Kafka, ma gli attori hanno arricchito il testo con scritti propri e improvvisazioni riversandovi emozioni, frustrazioni, speranze, in bilico tra ironia e pathos. L’ideazione e la regia sono di Maria Cinzia Zanellato e Loris Contarini, con la collaborazione artistica di Benedicta Bertau e di Emanuela Donataccio. In scena, Belhassen, Giovanni, Abderrahim, Aioub, Abdallah, Ahmed, Luca, Temple, Mario, Pietro, Bruno e Mohamed, ognuno con la propria storia, la propria amara esperienza, il dolore per la libertà perduta.

Ciascuno di loro sconta pene diverse; si va da pochi anni, per spaccio o piccoli furti, all’ergastolo, ma uguale per tutti è l’ansia di riscatto, il desiderio di vedere un futuro davanti a sé, di tener viva la luce della speranza.

“Lo sguardo mio avanza, perché mi resta la speranza, e anche quella se ne va”. Li ha scritti un detenuto, questi versi, un giovane che si è suicidato lo scorso novembre. Prendeva parte anche lui al laboratorio teatrale, ma non è basato a salvarlo.

Non c’è niente di miracolistico nell’attività teatrale. Può però rappresentare un modo per resistere all’angoscia, per disegnare un percorso di recupero e di crescita. Lo dice chiaramente lo spettacolo legato al tema della metamorfosi, come nell’omonimo racconto di Kafka. Ma qui non è un uomo a trasformarsi in scarafaggio, bensì uno scimpanzé che, catturato in una spedizione di caccia, è messo davanti a una scelta: lo zoo o il varietà. Sceglie quest’ultimo perché la popolarità gli appare come la forma di accettazione sociale sul palcoscenico del mondo, anche se non di libertà. Allo scimpazé si presenta, dunque, una via d’uscita, un modo per evadere dalla propria condizione, per raggiungere una forma di salvezza.

“È questo che i politici devono capire – dichiarano con forza detenuti e operatori culturali – devono comprendere la nostra volontà di resistenza e di riscatto, e devono sostenerci concretamente e in modo continuativo. È frustrante lavorare a breve termine, con progetti che hanno un finanziamento per un solo anno. Ci vuole una prospettiva almeno triennale”.

“Se potessimo votare – afferma uno dei reclusi – non saprei davvero chi scegliere. L’unico che fa qualcosa per noi è Pannella. Viene spesso a trovarci. Anche la notte di capodanno era qui.”

Caterina Barone

Pubblicato sul Corriere del Veneto, sabato 23 febbraio 2013, pp. 22-23

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